Domenica 26 gennaio 1986

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"… Quando sono venuto qui, mentre salutavo tutti voi giovani, specialmente i più piccoli della prima fila, molti hanno gridato: “Vita, vita”. Ecco una parola molto emblematica. Vi ringrazio per questa parola indirizzata alla mia persona. Veramente la vita è un bene fondamentale dell’uomo. L’uomo – possiamo dirlo – è uomo quando vive, dal primo momento della sua vita fino all’ultimo. La vita, specialmente quella dell’uomo, è un dono di Dio: per questo non si può mai toglierla a un altro, ma si deve far di tutto per farla crescere, per svilupparla, per perfezionarla, per dare a questa vita umana una dimensione sempre più matura. Gesù che è nato a Betlemme, Figlio di Dio che si è fatto uomo, è venuto tra noi diventando uno di noi, per offrirci appunto una nuova vita. Ci ha portato la vita; la vita divina inserita nella vita umana costituisce un insieme stupendo, splendido e una tale vita è la nostra vocazione, il nostro privilegio e anche il nostro dovere. Così vi ringrazio per questa parola, non solamente per “Viva il Papa”, ma per “Vita, vita”.

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Io dico “Vita” a ciascuno di voi, a ciascuno dei parrocchiani di questa parrocchia dedicata alla Madonna del Carmine e a San Giuseppe. Vita pienamente umana e vita pienamente cristiana: questo vi auguro e questo augurio lascio a tutta la comunità, specialmente a voi giovani che cominciate a sviluppare la vita umana. La vostra vita, forse, non la vedete ancora nella piena dimensione ma dovete maturare e non solamente vederla ma viverla pienamente, umanamente e cristianamente: questa è piena vita. Questo auguro a tutti, ai giovani, ai genitori, agli insegnanti e alla vostra comunità…."

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OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

1. “Davanti a te i pensieri del mio cuore” (Sal 18, 15). Con queste parole abbiamo proclamato la nostra volontà di ascoltare la parola del Signore e abbiamo espresso il desiderio di avere il cuore, cioè il nucleo più profondo dell’anima, aperto all’ascolto della voce di Dio, riconoscendo questa voce come “rupe” e fondamento della nostra fede.

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Con queste parole io saluto la comunità parrocchiale dedicata a Santa Maria del Carmine e a San Giuseppe, che oggi ho la gioia di visitare. Maria e Giuseppe ci guidino, come modelli sublimi, nell’impegno di avere i pensieri del cuore rivolti a Dio. Maria, che “conservava tutte queste cose”, cioè le parole e gli eventi che si riferivano al Verbo di Dio fattosi carne in lei “meditandole nel suo cuore” (cf. Lc 2, 19); Giuseppe, uomo giusto e fedele custode della famiglia di Nazaret, sempre pronto – come riferisce l’evangelista Matteo – nel “fare come gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (Mt 1, 24). E poi, come non pensare al Carmelo, monte della meditazione e della contemplazione, luogo di ritiro di profeti e di santi, simbolo dell’ascesi e dell’esperienza di Dio?

I nomi della Vergine e di Giuseppe ci riportano, insieme, alla meditazione sul mistero del Natale, sugli eventi di Betlemme e di Nazaret, dove Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è divenuto per noi modello di ascolto della volontà del Padre, vivendo nella sacra famiglia, nel lavoro e nell’obbedienza una vita tanto simile alla nostra.

2. Nella liturgia della domenica odierna l’Apostolo Paolo ci parla della Chiesa come Corpo di Cristo, organismo vivente nel quale vive Gesù Risorto.
Il Cristo “è un corpo solo” (1 Cor 12, 12), formato di molte membra; un corpo vivo, al quale i battezzati sono associati e uniti in forza di un’anima, di uno spirito, lo Spirito Santo. Questo Spirito Santo attrae ogni uomo nell’unità di una sola esistenza con il Signore; ogni uomo, senza distinzione, “giudei e greci, schiavi e liberi” (1 Cor 12, 13). Ogni battezzato deve considerarsi cellula vivente di questo organismo vivo, sostenuto, unificato dalla forza che promana dal capo, da colui che plasma tutte le membra e le fa sue. Un corpo formato “di molte membra” (1 Cor 12, 14) che vivono in relazione tra di loro e hanno finalità peculiari, come le membra di un essere vivente. Per questa unione ogni cristiano ha un suo rapporto immediato con Cristo, in forza della vita individua che gli è stata data; ma è anche in relazione intima con i fratelli perché in tutto l’organismo non c’è divisione, e le membra hanno cura le une delle altre (cf. 1 Cor 12, 25). Il Corpo mistico di Cristo ha una sua solidarietà: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (cf. 1 Cor 12, 12-26). È alla luce di questa immagine rivelata della Chiesa corpo di Cristo che ogni credente scopre il senso della sua identità e la portata morale delle sue scelte e delle sue azioni.

3. La Chiesa, dunque, è come l’ulteriore “sviluppo” del mistero dell’Incarnazione. In essa il Figlio di Dio assume un corpo umano dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Nella Chiesa uomini sempre nuovi, per opera dello Spirito Santo, “diventano” il corpo di Cristo. La Chiesa è, così, Gesù reso visibile sulla terra, gli serve da corpo per fare in modo che egli sia presente tra gli uomini, si faccia sentire e vedere da loro, abbia per loro un volto. Nella Chiesa, suo corpo, Cristo non è per noi un evento del passato, ma un essere vivo nel presente.
Il Concilio Vaticano II ha voluto mettere in singolare risalto questo mistero: “Comunicando il suo Spirito (il Figlio di Dio) fa sì che i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti, costituiscano il suo corpo mistico. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti . . . come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, così i fedeli in Cristo . . . Capo di questo corpo è Cristo . . . tutti i suoi membri devono a lui conformarsi, fino a che Cristo non sia in essi formato . . . Egli, nel suo corpo che è la Chiesa, continuamente dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua ci aiutiamo vicendevolmente a salvarci, e operando nella carità conforme a verità, noi andiamo in ogni modo crescendo in Colui che è nostro Capo” (Lumen Gentium, 7).

4. Essere corpo significa, ancora, essere un’unità nella pluralità. Ogni organismo è costituito da una pluralità di organi, e a ciascuno di loro spetta una peculiare funzione. Per analogia anche la Chiesa è formata da una pluralità di strutture e di persone, tutte tra di loro unite in un unico organismo, ma aventi ciascuna una missione singolare. Nell’unico Signore, come nell’unica Chiesa, ci sono diversi doni e carismi, distinte e molteplici vocazioni, pluralità di ministeri: “Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto . . . Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1 Cor 12, 18. 27).
Dobbiamo sempre ricordare, con profondo sentimento di responsabilità, che la forza della Chiesa consiste nella chiarezza con cui i suoi membri, sia laici che rivestiti di ministero, riconoscendo i poteri vitali di comunione divina conferiti loro da Cristo mediante l’appartenenza al suo Corpo mistico, sanno essere operosi nella rispettiva comunione della verità e nel servizio sorretto dall’amore.

5. In simile contesto noi ci possiamo chiedere: Che cos’è la parrocchia nella Chiesa? Come si qualifica una comunità parrocchiale nell’insieme di tutto l’organismo di cui fa parte?
Il nuovo Codice di diritto canonico, con preciso riferimento ai testi del Concilio, definisce la parrocchia “una determinata comunità di fedeli” (Codex Iuris Canonici, can. 515), comunità che rappresenta in certo modo la Chiesa visibile, stabilita su tutta la terra (cf. Sacrosanctum Concilium, 42). Come in una cellula della Chiesa particolare, mediante la parrocchia gli uomini sono inseriti nella più ampia e universale comunità di tutto il popolo di Dio (cf. Apostolicam Actuositatem, 10). La parrocchia si fa tramite di questo inserimento e di questa comunione perché celebra l’Eucaristia, sacramento che costituisce ed esprime la Chiesa, e nella parrocchia si predica la parola di Dio, si insegna a professare l’unica fede, mediante la quale si mantiene un vivo e fattivo legame con la comunità universale dei credenti.

6. La parrocchia, inoltre, è un vero organismo ecclesiale perché è essa stessa una comunità strutturata secondo il modello e la missione di tutta la Chiesa: vive attorno al suo pastore, seguendone la guida; è convocata dalla parola e dai sacramenti; si articola nell’esercizio ordinato di molteplici ministeri e doni, quali la catechesi, la carità, la vocazione familiare, l’educazione all’esperienza della fede; tutti quei carismi, in una parola, che lo Spirito Santo effonde in essa, quale specifica e concreta famiglia di Dio. In essa la vita del popolo di Dio entra nel concreto tessuto della vita umana.

7. Queste considerazioni valgono – e in maniera cospicua – per ogni parrocchia romana, cioè per le comunità di fedeli che vivono nell’ambito del ministero del Vescovo di Roma e successore di Pietro. Io vi chiedo di considerare il ruolo che vi spetta in questa Chiesa particolare di Roma, come vi chiedo di voler condividere con me la testimonianza della fedeltà alla dottrina del Signore. Tenete sempre lo sguardo fisso sul modello di Maria e di Giuseppe e, con loro e come loro, sappiate essere fedeli alla vocazione che vi è stata affidata.
Come sotto lo sguardo di Maria si raccolse, all’inizio della vita della Chiesa, la comunità cristiana di Gerusalemme – vorrei dire, la prima parrocchia – così la vostra comunità viva in atteggiamento di ascolto e con generosa disponibilità la sua vocazione, militando per il Vangelo e il servizio del Signore. Sappiate anche voi, come Giuseppe, custodire il Cristo nella vostra società e nella vostra famiglia, difendendolo, ma anche cercando in tutti i modi che egli sia conosciuto e amato.

8. Sono lieto di poter meditare con voi su questi principi che ispirano la vita di una singolare parrocchia, che nella sua storia può leggere il significato profondo di una vocazione comunitaria, inserita nel vivo sviluppo della città. Al tempo di Pio IX fu chiamata “La parrocchietta”, destinata, allora, alla popolazione della campagna lungo la via Portuense, accanto al Carmelo; ora inclusa nel contesto tumultuoso dell’espansione della metropoli.
Saluto cordialmente il cardinale vicario e il vescovo mons. Remigio Ragonesi, preposto a questo settore pastorale. Saluto ancora il vostro parroco, fra Luciano Nascetti, con i suoi collaboratori, i Cappuccini della provincia ecclesiastica bolognese.
Mi compiaccio con voi, fedeli di questa comunità, per le numerose iniziative di apostolato: l’Ordine francescano secolare, i gruppi di animazione liturgica, del canto, della diffusione della stampa, della carità (San Vincenzo), del Rinnovamento dello Spirito; e ancora, gli animatori dell’attività missionaria, gli scouts, gli addetti alle attività ricreative, i movimenti ispirati alla devozione mariana. Come vedete, la parrocchia vostra è davvero una famiglia multiforme, che nelle sue espressioni associative tende a raggiungere ogni persona per far giungere al cuore di ciascun uomo l’annuncio lieto del regno di Dio.

Un pensiero particolare debbo rivolgere ai catechisti e ai ministri straordinari dell’Eucaristia: voi costituite come il perno essenziale della partecipazione dei laici all’apostolato e alla missione della Chiesa. Un saluto cordiale anche a tutte le Comunità religiose maschili e femminili – sono davvero molte – che vivono e operano in questo territorio: e ricordo in particolare le tre comunità claustrali, segno vivo della Chiesa continuamente in preghiera, immagine della presenza più piena del Corpo mistico di Cristo nell’umanità. Desidero salutare, altresì, le famiglie religiose che si dedicano all’assistenza dei malati, degli anziani, della gioventù maggiormente provata. Un saluto anche alle Comunità che curano l’educazione dei bambini nelle scuole materne, dei ragazzi nelle scuole elementari e medie, dei giovani nelle scuole superiori e nei pensionati.
Il mio pensiero, infine, va agli alunni del Collegio Messicano che si preparano al sacerdozio e alla comunità ungherese, che si raccoglie nella Casa Santo Stefano, per rivivere, in spirito di fratellanza, quasi in un lembo della propria terra, tradizioni e ricordi di una singolare e gloriosa cultura nazionale.

9. Oggi mi è stato dato di visitare la vostra parrocchia. Mediante questo fatto viene messo in evidenza, più pienamente, il legame della parte con l’insieme. La visita è una particolare manifestazione del mistero della Chiesa di Cristo. È in un certo senso una festa di questo mistero. La sua celebrazione.
Ogni vescovo nei confronti della sua Chiesa, alla quale è stato chiamato dallo Spirito Santo, è vicario di Cristo (“Vicarius Christi”). Nella sua missione, egli ha davanti agli occhi l’intera missione messianica di Cristo, quella che si è iniziata a Nazaret. Proprio là, a Nazaret, nella sua città natale, Cristo dinanzi ai suoi compaesani ha letto le seguenti parole di Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione! e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 14-19; cf. Is 61, 1-2 a). E Gesù aggiunse: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4, 21).
Da quel tempo le parole di Isaia, che parlano della missione messianica di Gesù di Nazaret, si adempiono sempre. Si adempiono mediante la missione della Chiesa nel mondo intero. Oggi esse si adempiono in modo particolare nella vostra parrocchia mediante il ministero del Vescovo di Roma. Con la parola della Verità e con il Pane della Grazia vive il Corpo di Cristo.

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Ai bambini e ai ragazzi 

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Voglio salutare tutti i presenti, cominciando dai più piccoli, quelli dell’asilo e del pre-asilo, e proseguendo poi per quelli delle scuole elementari che si preparano alla Prima Comunione; per arrivare ai più grandi che si preparano alla Cresima. Saluto cordialmente tutti: bambini, ragazzi e ragazze. Saluto poi anche i vostri genitori, i vostri insegnanti. Un grazie speciale è rivolto alla signora direttrice della scuola che mi ha presentato un album con i vostri disegni: cercheremo di studiarli e di contemplarli. Siamo lieti che alla nostra assemblea di oggi sia presente anche la signora Falcucci, ministro della Pubblica Istruzione.

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Quando sono venuto qui, mentre salutavo tutti voi giovani, specialmente i più piccoli della prima fila, molti hanno gridato: “Vita, vita”. Ecco una parola molto emblematica. Vi ringrazio per questa parola indirizzata alla mia persona. Veramente la vita è un bene fondamentale dell’uomo. L’uomo – possiamo dirlo – è uomo quando vive, dal primo momento della sua vita fino all’ultimo. La vita, specialmente quella dell’uomo, è un dono di Dio: per questo non si può mai toglierla a un altro, ma si deve far di tutto per farla crescere, per svilupparla, per perfezionarla, per dare a questa vita umana una dimensione sempre più matura. Gesù che è nato a Betlemme, Figlio di Dio che si è fatto uomo, è venuto tra noi diventando uno di noi, per offrirci appunto una nuova vita. Ci ha portato la vita; la vita divina inserita nella vita umana costituisce un insieme stupendo, splendido e una tale vita è la nostra vocazione, il nostro privilegio e anche il nostro dovere. Così vi ringrazio per questa parola, non solamente per “Viva il Papa”, ma per “Vita, vita”. Io dico “Vita” a ciascuno di voi, a ciascuno dei parrocchiani di questa parrocchia dedicata alla Madonna del Carmine e a San Giuseppe. Vita pienamente umana e vita pienamente cristiana: questo vi auguro e questo augurio lascio a tutta la comunità, specialmente a voi giovani che cominciate a sviluppare la vita umana. La vostra vita, forse, non la vedete ancora nella piena dimensione ma dovete maturare e non solamente vederla ma viverla pienamente, umanamente e cristianamente: questa è piena vita. Questo auguro a tutti, ai giovani, ai genitori, agli insegnanti e alla vostra comunità.

La comunità parrocchiale serve la vita, la vita umana, insegna la responsabilità per la vita, cerca di perfezionare questa vita umanamente e cristianamente con la sua opera educativa, catechistica, sacramentale, pastorale. Questo è il compito proprio della parrocchia. Così, in questo primo incontro con la parrocchia più giovane, auguro il bene fondamentale e, in prospettiva, il bene più grande che si può augurare: a ciascuno di voi, a ogni uomo che vive in voi. E voglio portare questo augurio da qui, da questo ambiente, da questa parrocchia, anche là dove mi devo recare tra poco, tra alcuni giorni. voi già avete detto al Papa che egli deve essere un messaggero dei vostri auguri per i giovani, i ragazzi e i piccoli indiani. Lo farò volentieri e cercherò di compiere in modo almeno sufficiente questo compito che mi avete affidato. 

Ai gruppi e ai movimenti 

Vi ringrazio per le parole di accoglienza, per la vostra presenza e il vostro impegno nella vita comunitaria di questa parrocchia dedicata alla Vergine del Carmine e a San Giuseppe. Vedo che le diverse componenti della parrocchia, dell’apostolato vogliono seguire lo spirito di san Francesco come anche i pastori della vostra comunità sono figli di san Francesco. Cercate di essere simili, nello spirito, ai vostri sacerdoti Cappuccini. E così vi auguro di trovare in quella strada quella pace e quel bene che sono appunto il contenuto, il programma del motto francescano “Pace e bene”. Pace che è un mistero del cuore umano e poi è un problema grande delle comunità umane come ha detto il ministro dell’Ordine francescano secolare. Pace che è totalmente dono dello Spirito Santo e non può venire nel cuore umano, nelle comunità umane senza amore. Allora “pace e bene” significa “pace e amore: amore come bene, per il bene, amore per la pace”. Vi auguro di vivere questa spiritualità francescana e poi di portarla ai vostri fratelli e sorelle della stessa comunità parrocchiale e alla città. 

Ai giovani 

Voglio ringraziarvi per questa presenza, per questa gioia, per i canti, per la vostra autopresentazione, almeno da parte dei due gruppi. Altri, per esempio la Comunità di Sant’Egidio si sono presentati meno “ufficialmente” ma sufficientemente. Voglio augurarvi in questa parrocchia, ispirata dallo spirito di san Francesco d’Assisi, di avere quell’entusiasmo sempre giovanile per Cristo, per la vita e per tutto il creato che aveva lui. Si può pensare che san Francesco era un “poverello”, che conduceva cioè una vita povera; direi, invece, che lui era un grande economista; aveva questa specifica economia del Vangelo: se tu vuoi guadagnare la tua anima, devi perdere la tua vita; se vuoi risparmiarla perderai la tua anima. È un’economia certamente molto specifica ma altrettanto giusta ed efficace. Noi oggi sentiamo tante informazioni sul crollo di tante economie di diversi tipi dell’economia mondiale, sistemi capitalista, collettivista e altri; sentiamo oltre a ciò il dramma delle molte povertà dei disoccupati, dei rifugiati, anche in Italia, e ancora coloro, è terribile, che muoiono di fame. Tutto questo naturalmente è un’economia umana, terrestre. San Francesco aveva l’economia di Cristo, quella evangelica; essendo un grande entusiasta di Cristo, con l’economia evangelica ha potuto amare tutto e non perdere niente, guadagnare cioè tutto; è un uomo, direi che ha guadagnato di più, non so se nella storia del genere umano, della Chiesa ci sono persone che hanno guadagnato tanto come lui. Ecco una piccola risposta alla vostra presenza e forse alle vostre aspettative. Voglio augurarvi di vivere almeno analogicamente, parzialmente, ma sempre di più l’evangelica economia di san Francesco d’Assisi attraverso la quale si è fatto santo e sempre giovane.
Pregate per il Papa quando sarà in India. 

Ai catechisti 

Vorrei salutarvi nel nome di questo seminatore di cui ci parla il Vangelo, di cui ci parla Cristo: possiamo dire che parla di se stesso, soprattutto perché lui è il principale seminatore della Parola di Dio essendo lui stesso il Verbo, coeterno consustanziale, Verbo Incarnato. È il primo e principale seminatore della Parola di Dio. Questa parabola evangelica ci parla poi di tutti gli altri seminatori: in primo luogo degli apostoli e dei loro successori, loro successori nella successione apostolica che fonda l’identità, la continuità della Chiesa; successori degli apostoli come popolo di Dio: e qui siete voi, carissimi, seminatori della Parola di Dio. Vi saluto nel nome di quel primo e principale seminatore perché anche voi siete della sua razza, della sua gente, del suo popolo; voi avete amato la Parola di Dio, la Verità che si trova dentro di essa fino a portarla agli altri. Questo impegno è veramente apostolico, direi cristico: comincia con Cristo e poi si trasmette agli apostoli e vive nella Chiesa.
Io mi rallegro che così bene, così entusiasticamente vive questa Parola di Dio nella vostra comunità. Nel nome di quel primo seminatore vi benedico e vi auguro di essere come lui e insieme con lui seminatori. Che i vostri semi portino frutti nelle anime dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, per la loro iniziazione ai sacramenti cristiani, a tutta la vita cristiana. È una grande gioia incontrarvi e poter rivolgervi queste parole e poter condividere con la mia presenza la missione del seminatore soprattutto nella Chiesa di oggi, soprattutto nella Chiesa di Roma. 

Alle claustrali 

La liturgia molte volte parla di questo sacrificio spirituale e perfetto che è dono della redenzione, come scrissi per l’Anno santo della redenzione. Quel sacrificio spirituale e perfetto viene da Cristo per collocarsi nei cuori di tutti i battezzati, ma voi carissime sorelle avete scelto una strada, una vocazione, un modo di vita, in cui questo sacrificio spirituale diventa veramente perfetto. Voi avete scelto la “via della perfezione”, ma questa via vuol dire sacrificio perfetto, sacrificio che viene deposto come dono della redenzione tramite lo spirito di Cristo, lo Spirito Santo, nelle anime, nei cuori. Voi siete segnate, tutte e ciascuna, con questo dono, con questo sigillo misterioso e mistico. E così è costituita la vostra personalità, la vostra identità interiore, la vostra vocazione, il vostro essere della Chiesa; il vostro essere nella Chiesa scaturisce da questo vostro sacrificio spirituale e perfetto che ciascuna di voi fa suo e partecipa nella redenzione di Cristo. Un sacrificio, possiamo dire, incomunicabile perché talmente uno, talmente identico con la vostra anima, con la vostra persona, con la vostra vocazione; ma al contempo largamente comunicabile. Questo è un po’, brevemente, il mistero della vostra vocazione, della vostra vita consacrata.
Esprimo la mia gioia di poter incontrare nell’ambito di questa visita parrocchiale le tre Congregazioni contemplative: le Suore Carmelitane, le Suore Sacramentine, le Suore Serve di Maria. Questa parrocchia è ricca: padre parroco, tu sei un “capitalista”, e grazie a questa tua ricchezza anche il Vescovo di Roma, il Papa, è ricco. È molto significativo che voi vi trovate nella parrocchia dedicata appunto alla Vergine del Carmelo e a San Giuseppe, la sintesi stessa, il vertice della vita contemplativa.
Vi ringrazio per la vostra accoglienza e per le buone parole, per questa accettazione e partecipazione alla consacrazione fatta da me a conclusione dell’Anno Giubilare della redenzione al Cuore Immacolato di Maria. Una consacrazione per tutta la Chiesa, per tutto il mondo, per tutte le nazioni, specialmente per quelle che hanno più bisogno di quella consacrazione; anzi nazioni di cui quasi vuole la consacrazione il Cuore Immacolato di Maria. Una consacrazione che io ripeto ogni giorno.
E sapendo quali sono le defezioni umane, personali e comunitarie, da quella consacrazione anche se è stata fatta collegialmente dai vescovi del mondo. È proprio per queste imperfezioni preghiamo che la Madonna, Madre nostra e della Chiesa la accetti e sostenga in tutta la Chiesa. 

Primo saluto alla comunità 

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Voglio ringraziare il vostro parroco per le sue nobili parole e anche voi tutti per la vostra presenza. Saluto ciascuno dei presenti e ciascuno dei parrocchiani, anche se non sono presenti in questo momento. Mi rallegro molto di poter visitare questa parrocchia dedicata alla Madonna del Carmine e a san Giuseppe, affidata ai figli di san Francesco, i frati Cappuccini. Sono molto lieto di questa notizia che ho sentito: la visita del Papa ha fatto aprire la via del Casaletto. Questo è molto importante per me, perché via del Casaletto io la conosco da molti anni. Sono molto lieto di questa circostanza tanto promettente e vorrei augurarvi che la mia visita possa servire ad aprire un’altra strada, quella che ci conduce tutti a Gesù Cristo. Vi benedico ringraziandovi per le vostre preghiere e nello stesso tempo affidandomi alle vostre preghiere, specialmente per la mia prossima visita apostolica in India.